Gli pseudo-esperantisti

I due brani che seguono sono apparsi in La Esperantisto, rispettivamente nel 1891 e nel 1893. Si tratta di risposte pubbliche o commenti a lettere ricevute da Zamenhof.

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Al Sig. M-n a G.

La vostra lettera è firmata: “Uno dei più fervidi amici della lingua Esperanto!”[1] Effettivamente ricordo, che di quando in quando voi mi spedite lettere con domande sull’andamento della causa; ma mai ancora mi avete scritto che cosa voi stesso avete fatto per la nostra causa. Un fervido amico della nostra causa può chiamarsi non chi fa sempre domande, ma solo chi lavora per la nostra causa e la diffonde. Invece di domandarmi ogni mese “che cosa è stato fatto”, dovete alla fine di ogni mese domandare a voi stesso: “che cosa ho fatto io per la nostra causa nel mese scorso?”

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Di quando in quando riceviamo da varie parti lettere più o meno del tenore della seguente, del signor X, che ora è davanti ai nostri occhi:

Già da lungo tempo non vi ho scritto, e voi probabilmente già pensate che io, un tempo caloroso amico della lingua Esperanto, ora me se sia dimenticato. Se credete così, vi sbagliate. Resterò sempre un calorosissimo amico dell’Esperanto non lo dimenticherò mai. Ma, quando a suo tempo ho cominciato a lavorare per l’Esperanto, ho incontrato così tante difficoltà che, volente o nolente, mi sono lasciato andare e sono giunto alla convinzione che adesso il mondo non è maturo per questa grande idea. Ma siate del tutto certo, che appena le circostanze cambieranno e la sordità e l’indifferenza del mondo passeranno, voi mi vedrete nelle fila dei più energici combattenti. Scrivetemi che cosa la nostra causa ha fatto da quando ho cessato di essere un esperantista attivo; quanti amici la causa ha adesso? quali nuove opere sono uscite? Se “Esperantisto” esce ancora, speditemene qualche numero. Nel complesso sarebbe ben, se di quando in quando mi spediste una qualche novità sull’Esperanto, affinché non me ne dimentichi del tutto…..ecc. ecc.

 Amici, quale edificante e magnanimo modo di pensare, vero? quando grazie al nostro instancabile, paziente e difficile lavoro la nostra idea finalmente vincerà, quando un giorno potremo detergerci il sudore dalla fronte e, dopo le continue amarezze, delusioni e prese in giro, potremo sollevare la testa e guardare con piacere i frutti del nostro lavoro, allora il signor X. subito si unirà a noi e dopo la vittoria diventerà uno dei più validi combattenti!!! Frattanto, “il mondo non è ancora maturo”, e perciò il signor X non può essere “un esperantista attivo” a tal punto da non poter nemmeno…….. abbonarsi personalmente a “Esperantisto”, che “ha per lui sempre un grande valore”, e la sua adesione alla nostra causa egli la esprime chiedendo a noi, che abbiamo troppo tempo libero, di scrivergli ogni tanto per lettera dello stato della cosa.

No, signori pseudo-esperantisti! E’ vero, che ogni idea nuova e utile deve all’inizio combattere contro grandi difficoltà e prima o poi vince. Ma quando grazie alla nostra costanza il mondo cesserà di essere sordo alle nostre parole e la nostra causa cesserà di essere “fantasia”, della quale il ‘bon ton’ esige che la si derida senza averla studiata, quando l’Esperanto sarà accettato dappertutto e sancito, allora non avremo bisogno di voi, signori pseudo-esperantisti.  

Voi avete lavorato facendo una piccola prova, e quando questa è rimasta senza un successo decente, avete subito smesso!  Ma se il nostro lavoro avesse riguardato quelle cause che comportano ringraziamenti, che vengono coronate da un grande successo immediato, allora avremmo avuto facilmente un milione di persone che lavoravano e non avremmo avuto bisogno di voi! Voi tutti (il vostro numero è già molto grande), che state ora nascosti e aspettate, non promettete di unirvi a noi quando il mondo maturerà, perché allora non avremo più necessità di muratori e dopo la vittoria non avremo bisogno di aiutanti. Se amate la nostra idea, lavorate per lei ora, quando ha necessità di lavoratori; combattete per lei ora, quando richiede ancora una battaglia difficilissima; siate forti e allo scoperto, come granito tra le onde, ora, quando le circostanze sfavorevoli lo richiedono; continuate ad offrire generosamente ora, quando i mezzi finanziari sono per noi straordinariamente importanti e contengono in sé la domanda: “essere o non essere”.

Ogni nuova idea deve combattere a lungo tra le difficoltà e voi, signori X. e simili, che godete i dolci frutti di quelle idee, voi forse non avete nemmeno una piccola idea del sudore amaro con il quale a suo tempo sono state seminate queste idee. Noi, veri amici della lingua mondiale, lo sappiamo molto bene, e lavoriamo pazientemente, pazientemente, pazientemente, e né la terribile sordità che regna attorno a noi, né i colpi della sorte che tolgono coraggio e speranza, e che noi incontriamo ad ogni passo, ci scacceranno dalla nostra via. Armati di questa pazienza di ferro e coscienti della validità della nostra idea, noi andiamo avanti malgrado gli ostacoli che sbarrano ogni nostro passo, e non dubitiamo che prima o poi vinceremo. Ma voi, signor X. e milioni di persone simili, che preferite aspettare fino a che l’idea ora derisa e perseguitata diventerà un’idea alla moda, aspettate pure tranquillamente, ma non chiamatevi esperantisti. Noi meniamo colpi contro lo spessissimo muro che c’è tra i popoli; cento colpi restano senza risultato, ma non perdiamo il coraggio e siamo contenti quando il centunesimo infrange un mattone. Questo lento lavorio è noioso, ma non ci abbatterà. E quando i milioni di fessure interne, causate dai nostri pazienti colpi e finora del tutto nascoste, improvvisamente si manifesteranno, allora la grande muraglia, minata in diversi posti, crollerà di colpo con gran fracasso, allora voi, miopi, vi meraviglierete di come ciò sia accaduto, quando ieri ancora il 99% della muraglia era intatta; allora voi correrete da noi, e con grande magnanimità ci aiuterete nel trionfo della vittoria, e direte: “noi abbiamo lavorato”. Ma la storia allora non rimarrà in silenzio, e farà distinzione tra quelli che hanno lavorato e quelli che hanno aspettato.

[1] Nei primi tempi Zamenhof usa il termine “amici (della nostra causa)” per indicare gli adepti dell’idea di una lingua internazionale, in particolare dell’esperanto. Seguirà molto presto la coniazione del termine samideano (da sam-ide-an-o, membro della stessa idea), lanciato dal francese Louis de Beaufront, termine che diventerà il vocabolo usuale con il quale si chiamano (e vengono chiamati) gli esperantisti, largamente ancora oggi.

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